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a cura di Lorenzo Barberis, 2016

Michele di Erre, abbr. MdR, (n. 1979) è un artista torinese molto interessante, di cui ho già scritto su questo blog, riferendo di una sua cooperazione con il "cabalinguista" Marco Roascio, altro notevole artista monregalese mio concittadino. La loro collaborazione aveva prodotto un artefatto molto curioso e di lunghissima spiegazione, per cui vi rimando direttamente all'articolo sulla loro Opera Chiusa/Aperta:

http://barberist.blogspot.it/2013/07/sincronicita-chiusa-aperta-appunti-su-dr.html


Con Roascio, Michele di Erre ha in comune un riferimento all'immaginario surrealista, anche se declinato su altre tipologia di ricerca: le due principali forme espressive da lui utilizzate sono il disegno ad occhi chiusi e ancor più il disegno a sguardo periferico (in cui non si osserva il foglio, ma l'oggetto reale che viene rappresentato), due modalità di composizione che per i surrealisti degli anni '20 dovevano servire principalmente a far emergere le energie inconsce della mente.

In particolare, segnalo questo studio sull'adozione di queste tecniche applicate nel 1947 al fumetto popolare (vedi qui) che porta a una realizzazione sorprendente di grandi icone fumettistiche che, realizzate in "eyes wide shut", diventano indistinguibili dalle più ardite composizioni delle coeve avanguardie.
Il "MdE Mike" comunque usa più la tecnica dello sguardo periferico, che adotta almeno dall'inizio degli anni 2010 per realizzare ritratti di persone comuni e di personaggi famosi, aderendo anche a un gruppo artistico, "The Shivers" (che fonda con altri nel 2012) per approfondire questo tipo di ricerche.
Il lavoro di Opera Chiusa/Aperta, di cui ho detto e che ho seguito criticamente, è del 2013; rimando però appunto all'articolo relativo, citato sopra, per la notevole complessità dell'opera stessa, pressoché impossibile da riassumere in poche righe.


In seguito, però, il lavoro di Michele di Erre è proseguito con vari spunti interessanti, desumibili dal suo sito e che comunque riassumiamo qui. Da grande appassionato di fumetto, ho trovato particolarmente significativo, nel 2014, il lavoro che coniuga il tema dei supereroi con quello dei sette vizi capitali.
Connessione azzeccata, perché i supereroi (che teoricamente, per il loro eroismo, un esterno al mondo fumettistico assocerebbe di più alla virtù) non sono tanto rappresentazioni di una eccezionalità positiva, ma di un eccesso distruttivo che - spesso ma non sempre - essi riescono a volgere a vantaggio dell'umanità. Nihil sub sole novus, del resto, dall'ira funesta di Achille alla hybris di Ulisse, fino alla furia distruttiva di Orlando in Ariosto.
Alcune connessioni sono più logiche, come l'Ira con Hulk (che ne è pressoché la personificazione) o la Superbia per il sovraumano Superman, celata dietro la finta servizievole umiltà del kriptoniano (il cui superomismo deleterio è stato ad esempio indagato nel Dark Knight di Frank Miller). Altre connessioni, come la lussuria di Batman (il cui fumetto, negli anni aurei di Bob Kane, era in effetti un ricettacolo seminascosto di cultura queer, da cui gli strali di Frederic Wertham) o l'accidia in Spiderman, sono brillanti e meno immediatamente ovvie, ma gustose nell'associazione creata e nello sviluppo. L'invidia resa come un puro quadro nero appare appropriato doppio senso su in-video ("vedo con ostilità", ma rileggibile in chiave negativa come "non-vedo", come in "in-visibile").


Umanoidi è la ricerca del 2015, che amplia lo studio di figure colte tramite questa visione "laterale", con la figura che si staglia quasi statuaria (ma una statuaria irregolare e scalena, quasi da gargoille) sullo sfondo nero.

Una innovazione giunge con quest'ultima ricerca del 2016, dedicata alle costellazioni, che l'autore ha realizzato anche ad olio con un suggestivo effetto a luce stellare. Sul suo sito è comunque possibile vedere gli studi di un numero ancora più alto di costellazioni reinterpretate nel suo tipico stile.

Costellazioni artistiche, tardo-medioevale e post-secentesca.
Lo studio sulle costellazioni è indubbiamente un lavoro molto interessante, per la sua rarità nel panorama attuale dell'arte. In realtà il tema della costellazione è invece molto avvincente, anche per il suo porsi come tema artistico a metà tra la cultura più "umanistica" del Rinascimento classico e paganeggiante, che nella costellazione vedeva ancora, come il medioevo, il mito e i suoi valori simbolici, e l'età della rivoluzione scientifica, dal Seicento in poi, che sempre più abbandona questo aspetto in favore dell'esattezza geometrica, fino a trasformare la costellazione (ovviamente, in realtà inesistenti come figure astrologiche, e solo visioni di comodo sub speciae terrae) in puro flatus vocis.

In modo simile, sarebbe interessante per futuri sviluppi uno studio di D.R. su un tema ancor più ricco di possibili sviluppi per la sua arte, a mio avviso: quello cioè dell'alchimia, anch'esso un uso dell'illustrazione artistica tra magia e scienza, riletto tra l'altro da Jung come ricchissimo di rimandi dell'inconscio collettivo (la vera operazione alchemica) che il "lateral thinking" artistico di Mike dE potrebbe evidenziare.
In ogni caso, dopo questa breve carrellata riassuntiva, torneremo sui prossimi sviluppi artistici dell'autore, qualsiasi direzione prenda la sua molteplice arte.

a cura di Angelo Mistrangelo
"Ironia e segnali dal SuperEroe", 2015

Dall’Eroe all’Umanoide, alla reinterpretazione dei «vizi capitali», si sviluppa l’attuale indagine e riflessione di Michele di Erre che attraversa la società, il tempo, i luoghi della cultura contemporanea.

In passato, attore, fotografo, ora, disegnatore ironico e straordinariamente incisivo, affida all’intensa sequenza delle immagini dei cicli «I peccati dell’Eroe» e «Umanoidi» il senso di una ricerca attentamente valutata in occasione di «Ioespongo XVI», scandita da un segno vibrante, teso a delineare in chiave assolutamente personale la «Superbia» o il peccato di «Gola».

Michele di Erre entra così in diretto contatto con l’umanità e i suoi antichi e mai estinti peccati, con le cadenze di una figurazione grottesca, graffiante come le pagine di Maccari e Grosz.

Un’entità figurale segnata dalla denuncia sociale, da un racconto che unisce l’espressione dei volti alle sensazioni. E queste emergono da una rappresentazione che trova rispondenze e segnali nel mondo dei fumetti, dei manga giapponesi, di una metafisica scenografia della memoria.

E sullo sfondo i palazzi delle metropoli, un televisore dallo schermo rotto, un gatto che osserva un abbraccio («Lussuria»), diventano altrettanti soggetti realizzati ad olio e ambra pura su tela e su tavola.

Il disegno assume, quindi, una valenza espressiva particolarmente emotiva, carica di energia, capace di travalicare la realtà per entrare in un universo di personaggi, di gesti, di situazioni, in un dialogo continuo tra «Accidia» e «Avarizia».

E insieme alle tavole dei vizi capitali, si osserva il corale compianto del «Cristo schiodato», le immagini di «Power» e «Rhythmic Eyes Movements», in una simbolica rilettura di questo nostro tempo inquieto, problematico, complesso.

Il discorso di Michele di Erre fluisce attraverso una interiore adesione alla lezione e al pensiero di Caravaggio e Schiele, Modigliani e Pazienza sino ad Alessandri, in una sorta di magico assemblaggio di idee, di sperimentazioni, di poetiche visioni.

Una raffigurazione che ci appartiene con tutta la sottesa forza di un segno pronto a fissare, nello spazio atmosferico, l’incofessato sogno di un’infanzia ritrovata, avvertita come momento che va oltre il vero per entrare nell’affascinante mondo di una incontaminata fantasia.          

a cura di Daniela Magnetti
"I peccati dell'eroe", 2014

Attraverso l’interazione con sei super eroi Michele di Erre, artista torinese classe 1979, ha interpretato i vizi capitali, che null’altro sono se non l’espressione dei principali desideri dai quali tutti i peccati traggono origine.

I peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, come si fa per ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per eccesso o per difetto. Oppure essere collegati ai peccati capitali che l'esperienza cristiana ha distinto in superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, golosità e accidia.  Sono chiamati capitali perché generano altri peccati, altri vizi.

Nella contrapposizione tra bene e male, tra il super eroe e il vizio, la visione contemporanea di Di Erre trova la sua definizione più intrinseca. Ogni peccato viene sviscerato, osservato, fissato, ricordato e soprattutto associato alla sua antitesi: il super eroe. Si fissa nella  memoria di chi osserva, in un dialogo sordo tra bene e male che non trova né vincitori né vinti.

Di Erre ha  creato un’opera per ognuno dei sette argomenti. Sette dipinti che nel loro essere parte, creano il tutto.

 

Realizzati ad olio ed ambra pura, i dipinti sono il risultato di uno studio, iniziato 3 anni fa, sulla tecnica del disegno a sguardo periferico, o laterale.

Questo modo di disegnare, che esplora il soggetto in tutta la sua struttura, osservandolo come se lo si disegnasse solo con gli occhi, obbliga la mano a ricalcare l'immagine percepita senza alcun vincolo diretto con la realtà. L’opera è il risultato della percezione emotiva, svincolata dal filtro cognitivo della lettura del reale. Una realtà di cui si riappropria in uno stadio successivo, ricostruendo se stessa dai frammenti della vibrazione dell’anima dell’artista.

 

Così come nel manga e anime11eyesi principali antagonisti, chiamati Cavalieri Neri, rappresentano sei dei sette vizi capitali, mentre il vizio capitale mancante viene rappresentato dall'antagonista finale, anche nell’opera di Di Erre un vizio rimane oscurato, o forse svelato dalla profonda voragine del nero, antagonista della ricercata cromia presente negli altri dipinti.

a cura di Lorenzo Barberis
su il progetto "Opera Chiusa Aperta", 2013
"La Ruota della Cabalinguistica"

All'interno del progetto “Opera Chiusa Aperta”, l'artista torinese Michele D.R. si è occupato di rielaborare graficamente il poemetto creato da Stefano Di Lorito, secondo il suo approccio alla combinatoria anagrammatica.

Il poema di Di Lorito si presenta come un'opera sicuramente surreale nei singoli componenti, ma la forma poetica e lo stile aulico creano una sorta di alone di coerenza che lo rende relativamente plausibile al lettore.

Un'interpretazione grafica poteva quindi puntare a rendere ragione di tale caratteristica, andando ad amalgamare ulteriormente il testo con illustrazioni “di sintesi”, relative alle varie strofe, sul modello, per dire, di Doré che illustra la Commedia dantesca.

D.R. ha scelto invece una strada diametralmente opposta, certo più singolare e quindi più interessante: ovvero, ha proceduto a un'illustrazione per ogni singolo verso, andando di fatto a spezzare ulteriormente la già - volutamente - labile continuità dei versi di Di Lorito.

Rimangono alcuni elementi grafici, tra una immagine e l'altra, che creano dei tratti di raccordo, di solito tra due immagini contigue; ma a un primo livello percettivo la scelta prevalente è quella del “non sequitur”, come lo definisce Scott McCloud nella sua analisi dell'arte sequenziale: ovvero un raro tipo di sequenza che, pur ponendosi come tale, e quindi forzando implicitamente il lettore a cercare un raccordo, presenta un grado sostanzialmente minimo di connessione tra le varie componenti.

Una caratteristica, appunto, già presente in parte nel testo di Di Lorito, ma che D.R. accentua.

La radicalizzazione di questo “spezzamento del senso” dell'illustrazione (che, così, intenzionalmente, “non illustra”, ovvero non rende, letteralmente, più chiaro, ma più criptico) si evidenzia anche nell'adesione letterale al verso, non fondendo nemmeno il senso implicito evidenziato dal prosieguo nel verso successivo, tramite enjambement.

Prendiamo, ad esempio, l'avvio dell'interpretazione (vedi sopra le immagini riportate). La prima illustrazione interpreta così il primo verso: “schierate meduse poeti” diventa uno schieramento alterno di meduse e poeti effigiati come umanisti rinascimentali; “sparate” diviene la loro fucilazione.

L'immagine successiva, che ci parla di suore apatiche, pensose e adirate, slega completamente la raffigurazione dalla scena precedente, mantenendo quale raccordo quello dell'immagine televisiva che le tre monache (una apatica, una pensosa e una adirata, pare) stanno osservando.

Diverse  volte i personaggi  ritornano anche a distanza di uno o due quadri: le suore torneranno ad esempio nel quadro/verso quattro. Queste sotto-continuità, tuttavia, non creano comunque una narrazione, a livello apparente: anche se il senso globale che viene evocato (in coerenza, ripetiamo, col testo di partenza) è quello di un cosmo degradato, di poco futuribile rispetto al nostro.

Il raccordo tramite schermo televisivo che rimanda a un'altra immagine precedente della serie è però la forma principale di raccordo di D.R. in questa serie, in quanto sottolineata anche dalla forma di schermo propria di tutte le vignette, vagamente smussate agli angoli come il monitor di una vecchia TV.

La televisione coniugata al “non sequitur” evoca immediatamente il concetto del Blob di Ghezzi, il miglior esempio di mash up postmoderno applicato al medium televisivo, almeno in Italia. Ma qui sembra esservi qualcosa di più radicale e più profondo ancora, come riferimento.

Forse è la suggestione del tratto, che evoca quasi certe atmosfere del fumetto underground di fantascienza inglese, tipo 2000 AD. Forse le prime due vignette, paradigmatiche in quanto di apertura, che ci mostrano l'uccisione dei poeti e l'accettazione passiva dei telespettatori apatici. Comunque sia, il riferimento che viene alla mente è quello del 1984 di Orwell (1948) e del Fahrenheit di Bradbury (1953), che nell'infanzia del medium, più di mezzo secolo fa, avevano preconizzato alcune delle attuali (compiaciute) derive.

Molto significativa anche la struttura espositiva ideata dall'autore, che ha provveduto a montare le varie immagini realizzate su una struttura circolare e ruotante ispirata alla “scultura mobile”, citata da Eco come prima forma evidente di Opera d'arte Aperta ai primi del Novecento, segnatamente coi Mobiles di Calder. Ogni movimento impartito all'opera stessa ne modifica infatti la conformazione, rendendo effimera ogni configurazione assunta.

La struttura “rotatoria” impartita da D.R. rimanda quasi alla ruota dei tarocchi, che mostra l'alternarsi delle diverse dominazioni e diviene simbolo della ciclicità degli arcani maggiori, la cui serie è difatti circolare; ma la sua associazione con l'idea televisiva fin qui evocata fa supporre la casualità randomica di un “effetto blob”, appunto. Un ulteriore elemento di “spezzamento del senso” suggerito nella modalità di consultazione dell'opera, che rimanda ancora di più a quella neo-lingua per immagini, scientemente spezzettata e frammentaria, che veniva evocata nelle pagine orwelliane. 

Critica completa al 

a cura di Pietro Spadafina
su il disegno a occhi chiusi e ritratti a sguardo periferico, 2012

"È da uno scrigno universale che emergono gli elementi per la ricomposizione dell’immagine. Dal buio si fanno luce, lampo, i segni, i tratti e vanno a delineare con completezza di particolari l’intero. L’opera di Michele D.R., se pur bloccata come immagine ferma in un foglio, è però un vero universo magmatico di quanto egli ritrae a occhi chiusi. La mimica, le sfumature dell’abbassarsi delle ciglia, la piega della bocca e tutti gli innumerevoli codici della personalità del soggetto ritratto si condensano in un disegno armonizzato da un inconscio, il suo, che si fa contenitore della sostanza multiforme del disegnatore e del disegnato. La matita non perde quel quid di subliminale che l’occhio umano trascura o si rifiuta di vedere, ma amplifica anzi la consistenza, armonizzandola ad un tutto che si specchia, forse inconsapevolmente, nell’altro sé, nell’alter ego dell’artista indagatore. Appare chiaro che il disegno ad occhi chiusi non è il tracciato di una forma-oggetto visibile, ma piuttosto l’eliminazione di uno schema tangibile del concreto. Attraverso l’amplificazione è la spiritualizzazione dello spazio occupato dal soggetto. Altre componenti, che sfuggono normalmente a un tempo determinato, vengono invece individuate precisamente, cosi che il momento conclusivo dell’opera è il divenire di un ritratto senza tempo, nel quale convivono passato e futuro. Il disegno ad occhi chiusi è quindi l’opera dell’inconscio, sia l’inconscio dell’artista che l’inconscio dell’interlocutore altro, i quali, incontrandosi in un tempo senza luce, si autoilluminano e rivelano le più nascoste ombre che la vita razionale solitamente cela all’essere umano."

Pietro Spadafina



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Il disegno attivo

"Far parte del Contemporaneo", 2015

FAR PARTE DEL CONTEMPORANEO è un dialogo - nato spontaneamente, e poi adattato per il pubblico - tra 3 artisti: Vesna Bursich, Michele di Erre e Andrea Roccioletti. In un percorso di esperienze, riflessioni e progetti, ci avvicineremo per gradi e approssimazioni alla questione centrale che coinvolge, in modi diversi, tutti coloro che vivono sulla propria pelle l'essere ‪‎artista‬ e‪ ‎contemporaneo‬.

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