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L'Arte di Cappuccetto e il Mistero del Lupo Attore

L'Obsession Rouge


C’era una volta… un artista ossessionato da Cappuccetto Rosso. Non solo un’ossessione, ma una vera e propria investigazione artistica, un’indagine visiva e concettuale in cui il rosso della mantellina diventava pigmento per infinite variazioni sul tema. Disegni, dipinti, schizzi e reinterpretazioni, tutte mirate a svelare i segreti di una delle fiabe più oscure e ambigue mai raccontate.


Ma perché il lupo fa tutto ‘sto teatro?


Pensiamoci un attimo: perché il lupo non si limita a divorare Cappuccetto subito? Perché allestisce questo elaborato show, con tanto di travestimento da nonna e sceneggiata strappalacrime? Se il fine ultimo è il pasto, non sarebbe più semplice e diretto azzannare e via?

Qui la fiaba si complica. Non si tratta solo di un animale famelico, ma di un predatore che recita, mente, manipola. Il lupo di Cappuccetto Rosso non è solo un carnivoro, ma un maestro dell’inganno, della menzogna raffinata. Questa fiaba, più che un semplice avvertimento per i bambini a non parlare con gli sconosciuti, sembra un trattato sul potere della dissimulazione, sull’arte della persuasione e sulla teatralità come strumento di dominio.

Forse il lupo è il precursore di tutti i grandi illusionisti, di tutti i ciarlatani e politici che con discorsi suadenti attirano le masse per poi divorarle economicamente, socialmente, esistenzialmente. Forse, più che un predatore nel senso fisico, è una metafora del potere stesso: non basta essere forte per comandare, bisogna saper convincere, incantare, far credere alle proprie bugie.


Cappuccetto Rosso: vittima o spettatrice consenziente?


Ma se il lupo è un grande attore, Cappuccetto che ruolo gioca in tutto questo? Davvero non riconosce che la nonna ha un muso peloso e una voce cavernosa? O è anche lei, in fondo, parte del gioco? Forse sa benissimo che dietro quella cuffietta c’è qualcosa di strano, ma, come tante persone nella vita, sceglie di ignorare i segnali d’allarme per comodità o per paura di accettare la realtà.

Ecco un’altra grande verità nascosta nella fiaba: spesso la menzogna non è solo imposta, ma accettata. Vogliamo credere a certe illusioni perché la verità sarebbe troppo cruda, troppo scomoda. La fiaba non parla solo di un predatore ingannatore, ma di una vittima che si lascia ingannare perché preferisce non vedere.





Le fiabe: codici segreti della storia


Non è un caso che Cappuccetto Rosso, come molte fiabe, abbia avuto mille versioni diverse nel corso dei secoli. Le fiabe sono organismi vivi, mutano con le epoche, si adattano alle paure e ai messaggi politici del loro tempo. Nel Medioevo erano avvertimenti morali e religiosi, nell’800 favole pedagogiche per bambini, nel ‘900 strumenti di psicoanalisi e metafore sociali.

In alcune versioni più antiche, Cappuccetto non viene salvata, il lupo vince. In altre, il cacciatore non esiste nemmeno, perché il mondo è un luogo in cui nessuno arriva all’ultimo momento per salvarci. E in certe riscritture moderne, la fiaba diventa persino una critica alla paura dell’altro, del diverso.

Perché in fondo, chi è davvero il lupo? Un mostro, o solo un outsider che la società ha deciso di demonizzare?


Morale ironica: vivere è saper leggere tra le righe


Alla fine, la morale della mia ossessione per Cappuccetto Rosso è questa: il mondo non è mai bianco o nero, e le storie più semplici sono spesso le più complesse. Il lupo non è solo il cattivo, Cappuccetto non è solo l’innocente. Ogni narrazione, se guardata da un’altra angolazione, svela strati nascosti, giochi di potere, meccanismi sociali profondi.

Forse l’unico vero errore è pensare che le fiabe siano solo per bambini. Perché a ben guardare, siamo tutti dentro una fiaba: circondati da lupi travestiti da nonne, da Cappuccetti che fingono di non vedere, e da cacciatori che, spesso, arrivano troppo tardi.

E forse, in fondo, l’unico modo per non farsi mangiare è smettere di credere alle storie facili.


Fumo nel Bosco

Racconto breve su quella cappuccetto


Cappuccetto Rosso aveva 17 anni, un profilo Instagram pieno di selfie con filtri da lupo mannaro e una nonna che la controllava su WhatsApp con messaggi tipo: "Dove sei? Il bosco dopo il tramonto è pericoloso!!!".

Quella sera, però, Cappuccetto aveva un piano. Si era messa il cappuccio (che ormai era più una felpa oversize che una mantellina) ed era sgattaiolata fuori casa per incontrare Ansel e Gretel dietro il solito tronco cavo. Ansel era un tipo magro, con la barba a chiazze, e lentigini, sempre con una cartina in mano. Gretel aveva i capelli colorati e la strana capacità di trovare sempre snack nei posti più assurdi.

Avevano scelto il bosco per ovvi motivi: lontano dagli adulti, lontano dai problemi, e soprattutto lontano da “loro”. Il mistero della loro adolescenza non era il perché si fumassero uno spinello nel bosco (quello era ovvio), ma da chi dovevano nascondersi?

I genitori? Ma chi erano davvero?

Ansel e Gretel avevano vaghi ricordi di una coppia ossessionata dai dolci e dal controllo calorico, che un giorno li aveva portati nel bosco e... basta, il resto era nebbia. Cappuccetto, invece, aveva una madre che le diceva sempre di diffidare degli sconosciuti e una nonna che sembrava sapere troppo su tutto.

Ma c'era qualcosa di strano. Le regole che dovevano seguire non avevano senso.

Perché nessuno poteva attraversare il bosco da solo? Perché il panettiere in paese diceva che le loro case non esistevano fino a pochi anni prima? Perché quando facevano certe domande, gli adulti si scambiavano occhiate furtive e cambiavano discorso?

Fu allora che sentirono un rumore tra gli alberi. Foglie che si muovevano, un ramo spezzato.

«Oh no… sono loro!» sussurrò Gretel, buttando lo spinello nel muschio.

«Chi?!» ansimò Cappuccetto, con il cuore che batteva forte.

Dal buio apparvero delle sagome. Non lupi, non cacciatori. Erano gli Autori.

Vestiti in abiti d’epoca, con piume d’oca e taccuini consunti, con sguardi severi e occhi pieni di parole non scritte. Perrault, i fratelli Grimm, Andersen… gli Scrittori Originali.

«Sciagurati!» tuonò Perrault, scuotendo la testa. «Voi non dovreste esistere fuori dalla nostra storia!»

«Non potete deviare dalla trama!» aggiunsero i Grimm in coro. «Dove sono la morale, la paura, il senso di colpa?»

«E questo odore? Marzapane o…?» Andersen annusò l’aria con sospetto.

Ansel, Gretel e Cappuccetto si guardarono. Per la prima volta, capirono. Non erano adolescenti normali. Erano personaggi imprigionati in una storia vecchia di secoli, schiavi di una narrazione rigida e di un destino già scritto.

«Basta! Non vogliamo più essere le vostre pedine!» gridò Cappuccetto, alzandosi. «Vogliamo fare quello che ci pare! Siamo giovani, liberi, reali!»

Gli Autori si guardarono, confusi. E poi… puff! Svanirono, inghiottiti dal buio del bosco, come se non fossero mai esistiti.

Cappuccetto, Ansel e Gretel rimasero lì, con il bosco che sembrava più vivo, più reale. Erano finalmente fuori dalla storia.

«Che figata!» ridacchiò Ansel, accendendo un nuovo spinello.

Gretel tirò fuori una tavoletta di cioccolato. «E adesso che facciamo?»

Cappuccetto sorrise. «Tutto quello che vogliamo.»

Morale Filosofica:

Siamo tutti personaggi dentro storie scritte da altri. La famiglia, la società, la cultura ci danno ruoli e copioni già pronti. Ma ogni tanto bisogna ribellarsi, bruciare le pagine e scrivere da soli il proprio finale. Anche se significa perdersi un po' nel bosco.


Vi lascio con una formidabile canzone scritta da GianLucaVigone



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© Michele di Erre Art
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Grazie per essere arrivatə fin qui sei chiaramente una persona curiosa.”
Restiamo ispirati, un po’ strani e piacevolmente disorientati insieme.

Sinceramente Michele

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